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Recensione di Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutanti a Manhattan

Titolo: TMNT: Mutanti a Manhattan
Genere: Action / Hack ‘n’ Slash
Piattaforma: Xbox One
Sviluppatore: Platinum Games
Publisher: Activision
Data di uscita: 27 maggio 2016

Kawabonga! Le Tartarughe Ninja di Platinum Games sono uscite dalle fogne. Potevano restarci?

Annunciato da Platinum Games nel gennaio del 2016, Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutants in Manhattan, che, per comodità, chiameremo con vari appellativi ovviamente più brevi, è stato pubblicato il 27 maggio dello stesso anno, circa cinque soli mesi dopo il suo reveal. Certo, probabilmente lo sviluppo del titolo non è durato così poco ma, analizzando la qualità del prodotto finale, il dubbio ce lo siamo posti eccome. Solitamente dar giudizi o far capire il nostro parere fin dalle prime battute della recensione non fanno parte del nostro modus operandi tuttavia, come avrete capito dal titolo, ci siamo permessi il “lusso” di fare un’eccezione. Quando Mutanti a Manhattan è stato rivelato, l’associazione con i maestri dell’action di Platinum Games, reduci dal buonissimo Transformers: Devastation, aveva fatto gioire sia i giocatori di vecchia data, nostalgici delle avventure originali dei quattro Ninja adolescenti, sia gli amanti dei giochi di azione, ben strutturati, frenetici, tecnici e divertenti. Peccato che queste ultime qualità, nel nuovo game, siano solamente attribuibili alla caratterizzazione iconica dei quattro protagonisti, così come siamo abituati a conoscerli: Leonardo, il più saggio e completo, Raffaello l’impulsiva testa calda, Donatello il “tecnico” inventore nerd e Michelangelo il più ironico e spassoso del team. L’associazione con tali aggettivi finisce però qui, perché molto di quello che ci si aspettava da una software house così abile nel genere, non si vede, resta nascosto in un guscio di confusione generale e, quando finalmente fa capolino, è oscurato da scelte, di gameplay e mappatura comandi, piuttosto discutibili, aggravati da una ripetitività delle situazioni abbastanza pesante. Insomma, ci aspettavamo finalmente un’opera che desse nuovo lustro a un brand tanto noto, tra grandi e piccini. Così non è stato: riprendendo il titolo del paragrafo possiamo dire che… Sì, le Turtles di Platinum Games, potevano restare nella loro tana, invece che “infognarsi” all’esterno. Qualcosa di carino, per essere onesti, c’è, ma la delusione è tanta e la confusione tantissima così come la sensazione di avere avuto a che fare con un videogame sviluppato in modo sbrigativo, forse al fine di poterlo lanciare prima della pubblicazione del secondo dei nuovi film sulle Tartarughe Ninja, “Fuori dall’ombra” in arrivo, a luglio, nelle sale cinematografiche italiane. Vediamo insieme cosa funziona e cosa no, analizzando i singoli aspetti del gioco.

Un mix di stili dal sapore classico – Il brodo di Tartaruga fa piacere… Ma se ne può avere di più?

La trama di Mutanti a Manhattan non ha molto da raccontare: si tratta della tipica storia, vista e rivista, dei quattro eroi verdi con la bandana, aiutati dall’intramontabile Maestro Splinter e dall’affascinante giornalista April O’Neil, in lotta contro il Clan del Piede, Bebop, Rocksteady, Shredder e Kraang. Salvo qualche eccezionale caso, le vicende legate alle Turtles non hanno mai deluso nella loro “ordinaria amministrazione" e, anche in questo caso, il plot narrativo è piacevole nella sua semplicità. Grazie al lavoro di Tom Waltz, lo scrittore che ha realizzato la serie a fumetti della IDW, Platinum è riuscita a fondere le diverse apparizioni dei quattro ragazzoni mutanti in un unico stile che si traduce, in sintesi, in una versione moderna della serie TV originale. Questo è tanto un pregio quanto un limite: una produzione di questo tipo, rischia sempre di essere minata da un importante senso di déjà vu, al quale si può ovviare con un forte lavoro di regia e sceneggiatura. TMNT finisce presto per diventare banale e, con presto, intendiamo subito dato che per completare la campagna in single player, composta da nove missioni, ci sono volute solamente cinque ore scarse. Cliché a ripetizione, nessun azzardo a livello di plot-twist e missioni ripetitive, causano un senso di noia troppo immediato, tanto da farci dire “meno male” che non si tratta di un’avventura longeva.

Le nove missioni, scorrono in modo quasi meccanico, senza mai colpire al cuore, intervallate da qualche cutscene divertente ma di certo non memorabile.

Kawabonga o Bunga Bunga?

Beh… potete pensare che stiamo perdendo il lume della ragione: tranquilli, quello è successo tanti anni orsono, non è certo una novità. Ma questa volta abbiamo voluto fare i simpatici (che mattacchioni) paragonando la totale confusione riscontrata nel gameplay di TNMT con il caos scaturito dai celebri festini di Arcore (che, ahimè, non abbiamo potuto recensire). Veniamo… Emh, arriviamo al dunque e facciamolo anche in modo abbastanza diretto e sintetico: Mutanti a Manhattan ha le idee di Platinum Games ma, di fatto, non è degno di possederle e, ovviamente, non per il contesto in cui sono applicate ma per le dinamiche totalmente caotiche che ne scaturiscono.

La filosofia di base aveva un potenziale ottimo:

  • Un picchiaduro adrenalinico con quattro personaggi intercambiabili, ognuno con le abilità caratteristiche.
  • Un combat system che punta a valorizzare la cooperazione con le IA che controllano gli alleati.
  • Una grande varietà di oggetti equipaggiabili.
  • Mappe esplorabili che nascondono attività secondarie e collezionabili.
  • Boss Fight impegnative e caratterizzate.

Sta di fatto, però, che nulla di tutto questo viene sviluppato come si deve, con il risultato seguente.

Le fasi di combattimento sono confuse a causa di un’intelligenza artificiale che, nonostante sia possibile da gestire, impartendo alle altre tartarughe quattro ordini/atteggiamenti diversi, prende spesso e volentieri iniziative poco sensate. Ci si trova, così, a sperare che le povere creature verdi non vadano al suicidio, lasciando solo e indifeso il nostro personaggio. E’ possibile switchare da un Ninja a un altro ma, nella bagarre generale talvolta non si riesce nemmeno a capire quale stiamo controllando. Per di più il cambio non permette, effettivamente, di controllare un’altra tartaruga ma sostituisce, nella medesima posizione, la propria: “un semplice cambio di skin”. Aggiungete che lo switch passa attraverso la pressione combinata di un dorsale e di un direzionale. Sommateci che, vista la scarsa longevità e i comandi poco intuitivi, automatizzerete il tutto dopo molto tempo, quando ormai l’avventura è agli sgoccioli. E’ facile quindi capire la nostra delusione pad alla mano.

Per quanto riguarda il combat system nel senso più stretto, Leo & Co. possono sfruttare un attacco debole e uno forte, dando vita così a combo che, in realtà, sono più frutto di una pressione casuale dei tasti che di sequenze ben pensate (il risultato non sarebbe molto differente). Parata e counter-attack, attivabili con i dorsali, sono praticamente inutili fino al livello normale e acquistano un valore solo aumentando la difficoltà. Finestre di risposta ridotte e un limite di energia per evitare il colpo nemico, ancora più brevi per attivare la possibilità di contrattaccare, contribuiscono ad aumentare il senso di frustrazione complessivo.

Interessante è la possibilità, per ciascuna delle Turtle, di utilizzare quattro attacchi speciali che, almeno all’inizio motiveranno la scelta di una piuttosto che di un’altra. Particolarmente piacevoli sono le mosse combinate tra due personaggi. La diversificazione è però resa vana dalla progressione degli stessi protagonisti: accumulando punti in game, attribuiti in base al grado ottenuto al termine delle missioni, si possono acquistare abilità per poi inserirle nei quattro slot degli attacchi di ogni tartaruga, modificando il settaggio di base. Questo è utile una volta che sono automatizzate le varie mosse e quando si scopre come concatenarle al meglio sfruttando lo switch ma, di fatto, appiattisce quello che serviva a dare una minima caratterizzazione ai ninja.

In merito alle le missioni sparse per la mappa, il tutto si riduce all’utilizzo di una cyber visione che permette di rintracciare e sbloccare terminali, sconfiggere soldati all’interno dei nascondigli, collegarsi ad altri terminali, disinnescare bombe, proteggere chioschi di pizza e così via.

I momenti più memorabili, forse gli unici, sono rappresentati dalle boss-fight. Ognuno dei nove livelli prende appunto il nome del nemico finale. Questi scontri, a livelli avanzati, danno il meglio di se e permettono di sfruttare tutte le funzionalità del gameplay inserite dal team di sviluppo. Non è semplice azzerare le 5 o 7 (nelle difficoltà maggiori) barre di energia del boss e il senso della sfida crea, senza esagerare, quell’adrenalina che caratterizza i giochi di Platinum. Peccato però che, anche in questi frangenti, ci siano molti contro che rendono meno piacevole l’impresa come l’IA dei compagni insufficiente (a tratti ci si trova a far da badante alle altre tre Tartarughe troppo avventate), la telecamera, il lock-on e il senso di confusione costante.

C’è poi il comparto multigiocatore che permette di completare le differenti missioni in compagnia di altri players umani, esclusivamente online. Questo, se realizzato con amici organizzati, permette di evitare i fastidiosi problemi legati all’intelligenza artificiale.

I limiti della vecchia generazione di console… ah no…

Ci sarebbe poco da dire in merito al comparto tecnico di TMNT: Mutants in Manhattan, giocato su Xbox One. Escludendo il cel-shading delle quattro tartarughe, dei boss, di Splinter e April, realizzato discretamente bene, tutto il contorno è pari a quello di un gioco mediocre della passata generazione. In primis un frame-rate bloccato a 30fps, che, per un action così povero, ci sembra quasi un insulto. Le ambientazioni si estendono in modo anonimo, con texture ripetute su strutture povere di poligoni. Anche in Transformers: Devastation avevamo riscontrato una certa differenza di qualità tra personaggi e mondo di gioco ma nulla in confronto a quanto visto in una Manhattan poco credibile e banale.

Come se non bastasse, il tutto è condito da scelte estetiche e animazioni imbarazzanti: è possibile, nel 2016, realizzare un’interazione con un oggetto da sollevare, lasciando uno spazio vuoto ENORME tra chi compie l’azione (le tartarughe) e, ad esempio un cancello o un tombino? E questo è giusto per citare una delle tante situazioni che ci hanno fatto inorridire.

Poi, vogliamo parlare dei bug? Tartarughe incastrate in pareti invisibili, Ninja che s’incantano ripetendo lo stesso movimento, colpi che vanno a segno a distanza senza toccare il nemico, colpi che non vanno a segno, missioni che completi con grado S senza capirne il perché, altre svolte perfettamente ma che non ti permettono di ottenere la valutazione massima (ok, questo non è un bug, ma un no-sense che comunque rende l’idea del caos generale).

A questo ci aggiungiamo qualcosa che proprio non ci aspettavamo: l’adrenalina dei titoli Platinum Games passava anche attraverso una soundtrack sempre calzante nelle diverse situazioni di gioco. Vi ricordate Bayonetta? Metal Gear Rising? Transformers: Devastation? Beh, dimenticatevi qualcosa di simile in TMNT.

Le musiche di accompagnamento sono anonime e caotiche, proprio come il gioco stesso. La recitazione italiana non è male, anche se il copione non pullula di battute e, tralasciando le brevi cutscenes, durante l’azione si assiste ad un ripetersi delle medesime frasi. In alcuni momenti abbiamo riscontrato un doppiaggio fuori sincro.

Buona la gestione dell’illuminazione, soprattutto all’esterno, e apprezzabili gli effetti “neon” delle armi delle Tartarughe.

In sintesi

Vi ripetiamo un concetto espresso in precedenza: Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutants in Manhattan è un gioco mediocre che ha le idee di Platinum Games ma, di fatto, non è degno di possederle. Non ci aspettavamo un simile passo falso da una software house maestra del settore. In realtà, dopo aver capito che la realizzazione è stata curata dalla stessa divisione del team che ha dato vita al deludente The Legend of Korra, abbiamo trovato una spiegazione a molte nostre perplessità. Siamo sinceri, se non fosse per il “sempreverde” carisma delle Tartarughe Ninja, il nostro giudizio finale sarebbe stato anche più severo. E un titolo che ha presupposti da 7, sviluppati da 3. Una media matematica da 5. Consigliamo l’acquisto, più avanti e a un prezzo accessibile, a chi è veramente amante dei quattro Eroi con la Bandana. La sensazione è quella di un game sviluppato in modo frettoloso e approssimativo, giusto per massimizzare i guadagni in un periodo in cui il brand TMNT è rilanciato dal film in uscita a luglio nelle sale cinematografiche. Se non conoscete, non amate e non avete feels legati alle Ninja Turtles statene alla larga.

Pregi:

  • I protagonisti sono pur sempre i Teenage Mutant Ninja Turtles.
  • Il supporto dello scrittore Tom Waltz.
  • Idee di gameplay buone ma…
  • Boss fight interessanti ma…
  • Cel-Shading dei protagonisti.

Difetti:

  • Longevità scarsa, rigiocabilità bassa.
  • IA a tratti imbarazzante.
  • … sviluppate in modo insufficiente e frettoloso.
  • … troppo caotiche.
  • Ambientazioni povere.
  • Qualche bug di troppo.
  • Il frame-rate a 30fps in un gioco così è inspiegabile.
  • Soundtrack non all’altezza delle precedenti produzioni Platinum Games.

VALUTAZIONE COMPLESSIVA: 5

(Il carisma delle Tartarughe fa si che non sia un 4)

La recensione di Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutanti a Manhattan è stata scritta e curata da G-PqV per GameStorm.it, pubblicata il 12-06-2016

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