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Recensione di The Longest Five Minutes

Titolo: The Longest Five Minutes
Genere: GDR
Piattaforma: PlayStation Vita, PC, Switch (testata)
Sviluppatore: Nippon Ichi Software/Syupro-DX
Produttore: NIS America
Data di uscita: 16 febbraio 2018

Invecchiare può far bene o può far male?

Alle volte guardando la televisione ci s’imbatte in questo o quel personaggio - attore o meno che sia - e dopo qualche tempo si fa a fatica a riconoscerlo per via di un improvviso e lampante invecchiamento. Spesso si rimane basiti e sconcertati di fronte ad un declino fisico poco clemente e viene da dire: “Sarebbe stato meglio non averlo rivisto!”. La stessa reazione si può avere riguardando una, o più, serie anime della propria infanzia. Animazioni al limite dell’effetto diapositiva, miriadi di parole pronunciate mentre il personaggio apre la bocca solo due volte al minuto, parti di fondali che si ripetono all’infinito dando l’idea di essere vittime di un fin troppo precoce Alzheimer galoppante. Queste, e altre varie amenità, spingono a chiedersi quali problemi si potessero avere nella propria infanzia per apprezzare simili produzioni. Tuttavia, non ci sono, per fortuna, solo cose che invecchiano male. Esempio facile sono i vini e i liquori che, lasciati a “riposare” per anni in botti di legno, fermentano e migliorano con il tempo.

In ambito cinematografico si può, invece, parlare di film che, ai tempi della loro uscita nelle sale, furono precursori di stili, situazioni e tematiche, facendolo con incredibile precisione come il sempiterno 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick, e proponendo visioni, che pur risultando distopiche in quel periodo, hanno raccontato quella che si è poi trasformata in realtà nella società attuale.

Videoludicamente parlando, molti generi si sono evoluti trasformandosi in capolavori e, il più delle volte, questo miglioramento lo si è potuto apprezzare nel genere Adventure. In questo particolare “ambiente” si sono mescolati sempre più elementi presi di peso dai GDR, per dare vita a esperienze ludiche capaci di incollare, per ore e ore, i giocatori allo schermo, affascinando questi ultimi con la narrativa, con scenari sempre più vividi e lasciando la parte gestionale delle risorse e dell’armamentario alla sola capacità decisionale di ognuno dei player. In tutto questo i canonici GDR, che affollavano le librerie ludiche di ogni videogiocatore, sono andati via via scomparendo, lasciando solo flebili ricordi. Ciò nonostante, nell’ultimo periodo, qualche piccolo esponente di questo genere ha fatto capolino, facendo accrescere la curiosità di vedere se certe vetuste meccaniche di gioco sono ancora piacevoli o se, invece, non sia il caso di lasciare il tutto al passato a cui appartengono relegandole a semplici cari vecchi ricordi.

Aspetta! Dammi un minuto... anzi facciamo cinque...

In The Longest Five Minutes tutto parte dagli ultimi cinque minuti di combattimento con il boss finale del gioco. Veniamo, infatti, da subito messi faccia a faccia con l’entità maligna che ha orchestrato tutto affinché il mondo in cui Flash, protagonista di quest’avventura, e i suoi compagni Regent, Yuzu e Clover vivono, si ritrovino nel caos e pieno zeppo di demoni. All’inizio di questi ultimi cinque minuti di combattimento però accade qualcosa d’inaspettato al nostro simpatico party di eroi: Flash perde improvvisamente la memoria. Per qualche strano motivo il nostro eroe dimentica dove si trova e il perché si ritrova a combattere un enorme demone. A causa di questa imprevedibile situazione il gruppo di ragazzi si ritrova in seria difficoltà dato che, a quanto pare, solo Flash è in grado di sferrare il colpo finale al mefistofelico Demon King. Regent, Yuzu e Clover non possono fare altro che cercare di temporeggiare lottando al meglio delle loro forze con il nemico, e nel contempo spingere il caro Flash a recuperare la memoria dialogando con lui e dando veloci indizi su quanto vissuto assieme fino a quel momento. Quello che, infatti, andremo a fare è rivivere i ricordi di flash ripercorrendo l’intera avventura attraverso i suoi frammenti di memoria, di capitolo in capitolo. Iniziando dalla classica partenza dal proprio villaggio nelle vesti del solito eroe prescelto, assieme ad un altrettanto classico gruppo di predestinati, ci incamminiamo, quindi, in direzione del Re di turno che, vivendo tra le spesse mura del proprio castello, è ignaro del motivo per cui i sudditi del regno non escano più dal proprio borgo ovvero l’abbondante presenza di demoni nel territorio controllato da Sua Maestà.

Attraversando, quindi, varie città e aiutando di tanto in tanto le persone che abbiamo modo di incontrare lungo la via, andiamo così a chiudere i vari capitoli e a sbloccare parte dei ricordi del nostro caro Flash. Conclusa ogni sezione, veniamo catapultati nuovamente nel presente e cioè durante il combattimento finale con il Demon King ma, avendo sbloccato il ricordo del caso, vedremo il nostro party contrastare sempre meglio il nemico.

GDR o Visual Novel?

In realtà quello a cui assistiamo è il risultato del successo con cui abbiamo completato il capitolo-ricordo e, questo, dipende dal numero di sub quest portate a compimento. Ogni missione secondaria garantisce, infatti, un certo quantitativo di punti esperienza che influenza la qualità del ricordo: maggiore esperienza uguale risultato migliore nel combattimento con il boss finale. L’idea di base è buona e originale ma la realizzazione un po’ meno. Partiamo dicendo che bastano pochi combattimenti per notare che non si sente affatto la necessità di utilizzare pozioni di cura o incantesimi particolari per vincere lo scontro. Il più delle volte basta, infatti, attaccare - a turni - con tutto il party senza minimamente preoccuparsi neanche del parry, per avere successo con il nemico. Neanche in gruppo gli avversari riescono a impensierire. Gli incontri avvengono in maniera randomica lungo la mappa ma sono in ogni caso davvero molto saltuari; lo stesso discorso si può fare per i dungeon, dove gli scontri con gli avversari risultano troppo semplici anche se un po’ più frequenti. Come se non bastasse, è possibile rigiocare i vari capitoli per poter migliorare - o correggere - il ricordo ad essi legati influendo quindi sullo scontro principale abbassando ulteriormente il pericolo di vedere fallire il nostro party. Ci sono i vari e immancabili item da acquistare dai negozi o le locande in cui far riposare, inutilmente, i nostri eroi (dato che il sonno e la stanchezza non influiscono affatto sulle prestazioni in combattimento). Il vestiario, le pozioni o le armi si possono utilizzare solo durante il capitolo che si sta giocando e, in quello successivo, è necessario acquistare nuovamente i vari upgrade. Vero che probabilmente la scelta è stata fatta per rendere un poco più difficile l’avanzare nel gioco, ma in realtà è solo una scelta che obbliga ad un ripetitivo pagare per avere gli stessi potenziamenti. Insomma, alla fine si tratta solo di rushare da un punto all’altro della mappa pigiando il più velocemente possibile il tasto e scegliendo senza la minima paura “attack” dal - chiaramente inutile - menu di “scelta tattica”.

Non paghi di un’accozzaglia di scelte poco felici gli sviluppatori hanno saltato a piè pari la localizzazione italiana il che, grazie anche ad un non indifferente uso di abbondante slang americano, restringe la godibilità di quella che comunque risulta essere una buona caratterizzazione dei personaggi principali e della trama. Il problema si poteva aggirare facendo in modo di lasciare su schermo i dialoghi, ma ovviamente questi ultimi proseguono, inesorabili, automaticamente. Sono presenti alcuni minigiochi ma, anche questi, sono in realtà fini a se stessi e, forse, sono gli unici che danno qualche vera soddisfazione.

8 bit...ah no! Pixel Art...

The Longest Five Minutes sfrutta una grafica che si rifà completamente al mondo anni ‘80 e ai suoi 8 bit. I personaggi sono ben disegnati e caratterizzati con espressioni davvero buffe che richiamano fortemente il mondo anime-manga giapponese, e la palette grafica utilizzata è azzeccata e sufficientemente ricca. La vera differenza rispetto ad un lavoro nativo degli anni d’oro degli 8 bit, risiede nella tranquillità con cui si gestiscono 56 colori a schermo e 8 sprite in scioltezza e senza flickering (effetto per cui nei vetusti sistemi dell’epoca gli sprite tendevano a “sfarfallare”, cioè a comparire e scomparire velocemente -ndr-).

Le musiche sono carine, ma niente più, non avendo davvero nulla per cui meritare menzione. Molto presto ci si trova a giocare con il volume a zero magari guardando in TV il proprio programma preferito. La modalità portatile sembra l’ambiente di gioco migliore per questo titolo poiché i pixel risultano molto più gradevoli sullo schermo di Nintendo Switch.

In sintesi:

The Longest Five Minutes ha dalla sua una buona idea di fondo nella narrazione e nella caratterizzazione dei personaggi, proponendo dialoghi alle volte anche adulti e allo stesso tempo divertenti; peccato che il tutto sia inserito in una meccanica di gioco troppo semplice che perde presto appeal sul giocatore. Gli scontri sono di estrema semplicità e di una profondità tattica infima. In poco tempo ci si accorge che forse più che un GDR si sta giocando una Visual Novel...ma solo se si conosce bene - e si legge velocemente - l’inglese.

Pregi:

  • Buona caratterizzazione dei personaggi principali.
  • Un tuffo nel passato...
  • Stile grafico ben realizzato...
  • Non male come Visual Novel...

Difetti:

  • Longevità non elevatissima.
  • ...ma in una piscina davvero poco profonda.
  • ...ma pur sempre 8 bit.
  • ...ma non doveva essere un GDR?
  • Musiche?
  • Sfida?

VALUTAZIONE COMPLESSIVA: 5

La recensione di The Longest Five Minutes è stata scritta e curata da Lian165 per GameStorm.it, pubblicata il 13-02-2018

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