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Recensione di Detroit: Become Human

Titolo: Detroit: Become Human
Genere: Avventura Grafica
Piattaforma: PlayStation 4
Sviluppatore: Quantic Dream
Produttore: Sony Interactive Entertainment
Data di uscita: 25 maggio 2018

 

Correva l’anno 2012…

Dopo averci messo nei panni di Lucas Kane (tra gli altri) nel sovrannaturale Fahrenheit, averci chiesto di scoprire l’identità del misterioso Killer degli Origami in Heavy Rain, e averci emozionato con il rapporto tra Jodie Holmes ed Hayden in Beyond: Due Anime, Quantic Dream ha deciso di cambiare leggermente rotta con Detroit: Become Human, trattando argomenti attuali come il futuro legato allo sviluppo delle intelligenze artificiali, e la discriminazione delle minoranze.

Le origini di questo titolo vanno ricercate nel corto “Kara”, pubblicato nel 2012 per sfoggiare i mezzi grafici disponibili a quel tempo. La clip puntava a dimostrare i passi da gigante fatti col motore grafico dello studio, in grado di catturare le espressioni facciali degli attori (in quel caso Valorie Curry) grazie alla tecnologia d’avanguardia del motion-cap su PlayStation 3.

Qualche anno dopo, il 2015, vide effettivamente l’annuncio ufficiale di Detroit: Become Human durante la Paris Games Week.

Ispirato dal saggio “La singolarità è vicina” di Raymond Kurzweil, che sostiene che la crescita dello sviluppo dell’intelligenza umana impallidisca di fronte a quella delle macchine, Cage decide di esplorare l’ipotesi di una forza lavoro androide, e con esso tutto quello che potrebbe scatenare nella razza umana, restia a venire rimpiazzata.

Consultandosi costantemente con degli esperti nel campo delle IA, Cage ha deciso il setting quasi immediatamente, puntando sulla città di Detroit, nota per il suo cuore pulsante metallico composto dalle tante industrie presenti, che le hanno conferito il nomignolo di “Motor City”. Per anni ne ha studiato ogni anfratto, respirando l’aria della città, vagando per i palazzi abbandonati e le strade imbrattate di murales, per poi cercare di ricostruirne una versione fedele, adatta al setting futuristico (ma non troppo distante) che avrebbe fatto da sfondo alle avventure dei tre androidi protagonisti.

Poco prima del suo debutto ufficiale, avvenuto il 25 maggio, Quantic Dream ha dapprima rilasciato una demo che permetteva di giocare la scena d’apertura del gioco, e ha poi accompagnato la release pubblicando quattro interessanti cortometraggi prequel.

 

Tra fantascienza e realtà

Quello sfruttato in Detroit: Become Human è sicuramente un espediente narrativo già visto, nel quale l’uomo crea una nuova razza sintetica per facilitarsi la vita, per poi ritrovarsi tra le mani una rivolta delle macchine diventate senzienti, che non vogliono più sottostare a quello che era il loro padrone. Un cliché che popola libri, film e telefilm ormai da decenni, e che non può fare a meno di affascinare chi nelle IA non vede solo una minaccia.

Ma tra un libro di Isaac Asimov, uno degli esponenti più apprezzati del campo grazie alle sue tre leggi sulla robotica (ormai punto fermo della narrativa del genere), un capitolo cinematografico dei replicanti di Blade Runner (tra l’altro ispirato all’opera narrativa di un altro esperto del genere, Philip K. Dick), o un nuovo episodio del telefilm Westworld, le cui Attrazioni Robotiche del parco si svegliano dal tepore del proprio software, l’argomento IA non si applica solo alla finzione.

Nell’ultimo periodo sono stati fatti passi da gigante anche nella realtà, come dimostra l’avanzatissimo androide noto col nome di “Sophie the Robot”, il cui riconoscimento maggiore è stato ricevere la cittadinanza saudita. Dopo vari “problemi di software” che l’hanno portata a minacciare di uccidere tutta l’umanità, Sophie è stata ristabilizzata, restando però uno spauracchio per chi teme “si stia giocando troppo a fare Dio”.

David Cage ci ha offerto una finestra sul futuro con questa sua ultima opera? È tempo di mettere da parte i “se” e i “ma”, e addentrarci nella Detroit del 2038.

“Quest’unità ha un’anima?” (cit. Legion di Mass Effect)

La storia di Detroit: Become Human, ambientata nel 2038, ha avuto in realtà inizio due decenni prima, quando un universitario squattrinato, Elijah Kamski, decise di usare tutti i propri risparmi per realizzare il sogno di creare la prima forma di vita robotica in grado di superare con successo il test di Turing (un criterio usato in campo scientifico per capire se la macchina sia in grado o meno di pensare autonomamente).

La risposta di questo esperimento è Chloe, già vista in uno dei corti prequel, che in un’intervista pone il dilemma alla base del gioco: “Esisto solo grazie all’intelligenza umana che mi ha creato, ma voi possedete una cosa che io non avrò mai… un’anima”.

Così ha inizio la compagnia CyberLife, destinata a diventare un vero e proprio colosso nella costruzione e distribuzione di androidi, con base a Detroit. Ce n’è davvero per tutti i gusti, e tutto ciò che gli umani devono fare per avere il proprio aiutante personale, è recarsi in uno dei tanti store presenti per la città e procedere con l’acquisto.

Ma come nella maggior parte delle situazioni, anche qui esiste “l’altra faccia della medaglia” (o della moneta di Connor). Dopo averne apprezzato la creazione, l’umanità è ora insoddisfatta perché i datori di lavoro preferiscono puntare sulla perfezione degli androidi e non più sulla limitatezza degli umani, facendo così salire drasticamente il tasso di disoccupazione e, di conseguenza, l’intolleranza nei confronti di questi “pezzi di latta”.

A subire il bullismo degli umani è anche Markus, androide “badante” che si occupa del suo padrone, l’artista Carl, che gli offre una vita perfetta, senza complicazioni. Tra una partita di scacchi e la creazione di un quadro, l’anziano pittore sprona Markus a volere di più, a pensare per sé, spingendolo a diventare un deviante.

Essere deviante significa essere difettoso, avere un software instabile che ti rende più umano e meno macchina, con dei desideri, tra cui quello di spezzare le catene virtuali che ti vincolano a seguire gli ordini.

Un androide deviante non è obbediente e diventa così una fonte di terrore per gli umani che, come spesso accade, sfogano la propria frustrazione e paura con la violenza.

Anche Kara è alle prese con un problema simile, ma la sua situazione è decisamente più complicata. Al servizio di un padre di famiglia violento, che scarica sulla propria figlia tutta la frustrazione di un matrimonio finito male, Kara si deve occupare della piccola Alice e delle faccende di casa, facendo sempre attenzione agli scatti d’ira del capofamiglia. Messa di fronte alla scelta di obbedire agli ordini, o di reagire per salvare la piccola, anche lei potrà liberarsi di quelle catene che controllano il suo libero arbitrio.

Arriviamo infine a Connor, il più freddo e il “più androide” dei tre. Meccanico, pacato e ligio al dovere, per questo robot-poliziotto conta solo una cosa: la missione. Inviato dalla CyberLife per estirpare alla radice il problema dei devianti, il suo programma lo spinge a recuperare prove, analizzare indizi e ricostruire scene del crimine. L’inizio della sua storia lo porta a negoziare con un androide difettoso che, per vendicarsi della famiglia che lo voleva rimpiazzare, ha deciso di prendere in ostaggio la bambina con cui fino a pochi secondi prima aveva un rapporto idilliaco (se avete giocato la demo, riconoscerete sicuramente la situazione).

Il destino dei tre protagonisti e dei personaggi secondari dipende interamente dalle scelte del giocatore, in questo che possiamo definire “il videogioco di Schrödinger”, dato che: “Finché non decidi tu cosa succederà, succede tutto allo stesso tempo”.

Markus Luther King vi guiderà verso la libertà

Un discorso imprescindibile legato a Detroit: Become Human, è sicuramente l’aspetto sociale ed etico che stratifica la narrativa. Si va dai parallelismi con la schiavitù, alla giustificazione dello sfruttamento di una specie senziente, fino al domandarsi cosa spinga l’essere umano ad ostracizzare il diverso.

Gli androidi vengono più volte paragonati agli schiavi di colore che per decenni hanno popolato le campagne americane (e non solo), forzati dal proprio padrone ad una “vita” dalla quale non potevano sfuggire, se non con la morte.

Le catene che un tempo legavano polsi e caviglie degli schiavi, nel 2038 sono rimpiazzate da blocchi al software accuratamente piazzati dalla CyberLife, in grado di evitare che gli androidi si risveglino dal “coma”, e assicurandosi che rimangano delle efficienti macchine.

A poco a poco, questa nuova razza senziente sente però il bisogno di un leader che li guidi fuori dall’oblio di una cieca obbedienza, e li trascini verso la luce dell’uguaglianza e dei pari diritti.

Tra i tre protagonisti, Markus è sicuramente quello che più incarna questo modello e che, viste le tante somiglianze, ci sentiamo di vedere come un Martin Luther King in salsa cibernetica. Uno, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, che per anni ha fatto della lotta alla discriminazione il proprio credo; l’altro, leader della rivolta degli androidi, che chiedono uguaglianza, parità di diritti e una voce che l’uomo sembra non essere pronto ad ascoltare.

Se questo paragone vi sembra campato in aria, resterete sorpresi nello scoprire che uno dei personaggi arrivi a citare una delle frasi più iconiche del dottor King…

“Se un uomo non ha ancora scoperto qualcosa per cui morire, non ha ancora iniziato a vivere”

… che non può non venire associata al desiderio degli androidi di scendere in strada a protestare, anche al costo di rimetterci la loro, seppur sintetica, vita.

Al lato sensibile della questione, si contrappone quello più pratico, che pone il dubbio sull’effettiva utilità di avere delle macchine “difettose” al proprio servizio, che non sono in grado di portare a termine gli obiettivi per cui sono state costruite.

A questo si aggiunge un altro dilemma in ottica futura, ossia la preservazione della specie. La loro natura sintetica ovviamente non permette loro di riprodursi, non offrendo quindi un pool genetico in grado di far evolvere la specie.

Altro rischio sarebbe quello del sovraffollamento, dato che probabilmente alcuni potrebbero manifestare il desiderio di maternità o paternità, richiedendo un androide dalle sembianze di un bambino. A questo si potrebbe aggiungere un possibile problema legato all’inquinamento dovuto ai bio-componenti di ricambio che inevitabilmente si usurerebbero col tempo, o alla creazione del sangue blu che è vera e propria linfa vitale per questi robot.

Come tutte le circostanze insegnano, la soluzione non è mai solo bianca o nera, ma è un mix di pro e contro, che sfociano in quelle sfumature morali che rendono Detroit: Become Human molto più che un semplice titolo dove basta premere i pulsanti al momento giusto. David Cage e Quantic Dream sono stati in grado di creare un’esperienza che va ben oltre una quindicina di ore di svago e che, a conti fatti, ci pone di fronte a dubbi che potrebbero benissimo far parte del nostro quotidiano nell’imminente futuro.

Gameplay scarno per puntare tutto sulla narrazione

Se non siete dei neofiti dei titoli creati dallo studio francese, sicuramente saprete bene che le avventure grafiche di Quantic Dream sono composte per lo più da Quick Time Event, da oggetti con cui interagire tramite l’analogico destro, e da combinazioni di tasti da premere con il giusto tempismo. Un gameplay quindi davvero ridotto all’osso, che lascia spazio alla narrativa basata su personaggi di spessore e storie coinvolgenti, marchio di fabbrica dei prodotti della software house transalpina.

Con la possibilità di scegliere i comandi avanzati nel menù principale (consigliatissimi per i veterani), oltre ad utilizzare le levette analogiche, rispettivamente la sinistra e la destra per muovere il personaggio nello spazio di gioco circoscritto e modificare la posizione della (legnosa) telecamera, vi sarà richiesto anche l’uso del touchpad per alcune azioni (come “sfogliare” le riviste collezionabili), e quello del motion control del DualShock 4, muovendolo velocemente nella direzione indicata sullo schermo.

Il rovescio della medaglia di quest’ultima opzione è uno solo: la scelta dell’icona a video che risulta pressoché identica a quella dedicata al movimento della levetta analogica, che spesso confonde il giocatore, portandolo inevitabilmente a sbagliare.

Per non perdervi nulla, sarà possibile impostare la visuale frontale o posteriore con R1, e sfruttare lo scan integrato in ogni androide cliccando R2, per vedere apparire (quasi) tutti gli oggetti e gli NPC con cui è possibile interagire, segnalati da un’icona gialla.

Come per ogni avventura grafica che si rispetti, si dà ampio spazio alle scelte che in alcuni casi dovranno esser prese nel minor tempo possibile e sbloccheranno percorsi e finali multipli per ognuno dei tre protagonisti. In base al bivio narrativo scelto, o alla reazione degli NPC alle vostre azioni, alcuni sbocchi saranno inaccessibili. Vi ricordiamo, inoltre, che, come già visto anche in Heavy Rain, la morte di uno dei tre protagonisti non porterà ad una schermata di game over, ma peserà sull’economia della trama e dei finali.

Ricostruzione della scena del crimine e calcolo del percorso

Una ventata di novità al gameplay la si può scoprire giocando nei panni di Connor, che vista la sua natura da detective si ritroverà più volte ad analizzare scene del crimine con indizi che chiedono solamente di essere scoperti. Tra una prova e l’altra, che potrà essere selezionata con la levetta analogica destra, o analizzata nel dettaglio cliccando triangolo, ci verrà data la possibilità di ricostruire gli avvenimenti.

Quest’ultima innovazione è sicuramente uno degli aspetti più divertenti e accattivanti del gioco, vista la possibilità di riavvolgere la sequenza analizzata cliccando i grilletti del pad, modificando l’angolazione della telecamera per scovare eventuali dettagli mancanti, per poi ricostruire i fatti in maniera fluida e completa (ricordate la modalità detective di Batman: Arkham Origins?).

Anche Markus possiede un’abilità speciale che, purtroppo per Kara, non è comune a tutti gli androidi. Il futuro leader della rivolta ha la capacità di calcolare i percorsi in maniera decisamente più interessante rispetto al vostro navigatore satellitare, precostruirli e studiarne l’esito.

In alcune scene sono richieste particolari acrobazie che, se eseguite con scarso tempismo, rischiano non solo di danneggiare i bio-componenti di Markus ma anche la sua reputazione. Le meccaniche sono molto simili a quelle che vi abbiamo descritto poco più sopra, con la possibilità di riavvolgere l’azione a piacimento. La differenza sta nella presenza di diverse possibilità da analizzare, con azioni acrobatiche visionabili in anteprima, starà poi al giocatore selezionare quella “vincente”.

 

InD(i)etro(it) non si torna… anzi, sì

Se le scelte che avete compiuto non vi hanno convinto fino in fondo, o se vi siete pentiti di aver optato per un percorso piuttosto che un altro, avrete la possibilità di tornare sui vostri passi grazie all’utilissima funzione del Diagramma, che dà l’opportunità di scegliere il checkpoint da cui ripartire, invece di rigiocare ognuno dei 32 capitoli dall’inizio.

Vista la mole di scelte a disposizione del giocatore, grazie alle quasi 3.000 pagine di copione, Quantic Dream ha ben pensato di rendere tutto più chiaro con questo schema ad albero che mette in evidenza, con diversi colori, le scelte effettuate durante la vostra run e quelle ancora bloccate, segnalate con un lucchetto rosso.

Se la curiosità non è abbastanza da voler sovrascrivere i vostri salvataggi, o se volete testare una delle opzioni solamente per sbloccare un obiettivo, sarà possibile rigiocare le scene senza influenzare l’esito finale del Diagramma, scegliendo l’opzione “non salvare” quando richiesto.

Il nostro consiglio è però quello di non ricorrere a questa funzione durante il primo playthrough e di gustarvi appieno il peso delle vostre scelte, per poi scoprirne l’impatto.

Anche Siri si è evoluta ed è nel menù principale

Detroit: Become Human si dimostra interattivo fin dal menù principale, dove ad attenderci ci sarà un’inaspettata assistente, pronta a spiegarci le tante funzioni a nostra disposizione. La trovata degli sviluppatori è stata quella di piazzare la bionda Chloe che, tra una battuta e l’altra riesce a rendere l’esperienza di gioco ancora più coinvolgente, arrivando quasi a formare un rapporto di amicizia col giocatore. Vi avvisiamo, ci abbiamo provato, ma è davvero impossibile non affezionarsi a lei.

A proposito del menù principale, da qui è possibile accedere alle opzioni relative all’audio e al video, e alla ricca sezione extra, dove si potranno spendere i punti accumulati durante i capitoli di gioco, sbloccando video dietro le quinte, bozzetti dei personaggi e dei paesaggi, i brani della colonna sonora, e le clip prequel da vedere assolutamente.

Un’altra esclusiva PS4 visivamente mozzafiato

A livello tecnico, Detroit: Become Human prosegue il trend di altre esclusive PS4, come Horizon: Zero Dawn e God of War, che dal punto di vista tecnico lasciano a bocca aperta.

Il colpo d’occhio offerto dai panorami e dai personaggi è sicuramente uno dei punti forti di questa avventura grafica, che risultano ancora più spettacolari su PS4 Pro. Grazie alla tecnica di motion-cap è stato possibile catturare ogni micro-espressione dei tantissimi attori coinvolti nel progetto, che hanno effettivamente recitato ogni scena indossando la tipica tuta che permette di scannerizzare i modelli 3D, e riprodurne fedelmente ogni movimento.

A questo si aggiunge anche il nuovo motore di gioco, migliorato dal team grafico con caratteristiche avanzate che permettono di lavorare meglio sul rendering, lo shading e il bokeh, offrendo una minuzia di dettagli negli ambienti di gioco grazie anche alla profondità di campo, perfezionata dagli input di Mark Cerny, lead architect di PlayStation 4.

I colori sono sempre ricchi e corposi, le animazioni facciali sono fluide e naturali, e non si è mai manifestato un caso di compenetrazione o ritardo nel caricamento delle texture, dimostrando quanto il team si sia impegnato nello smussare ogni possibile imperfezione che sicuramente si è presentata durante le fasi di sviluppo.

Vista la mole grafica del gioco, l’unico difetto che possiamo trovargli è una schermata di caricamento iniziale che risulta abbastanza lenta, ma lo riteniamo un “male necessario” per un gioco con un comparto tecnico di questa portata.

 

Ottimo cast, ottima soundtrack, ma adattamento italiano da rivedere

Detroit non è solo bello da vedere, ma anche da sentire, con una soundtrack studiata nei minimi dettagli, che ha visto il coinvolgimento di tre diversi compositori per ogni protagonista. Philip Sheppard, Nima Fakhrara e John Paesano hanno creato una serie di brani su misura rispettivamente per Kara, Connor e Markus, studiando il percorso emotivo di ognuno di loro, e cercando di riprodurlo nero su bianco sullo spartito.

Abbiamo così un sound scoppiettante ispirato ad un falò per Kara, riprodotto con il violoncello, un sound più robotico per Connor, scaturito dall’utilizzo di strumenti creati appositamente per l’occasione, e uno più spirituale e soul per Markus, che sottolinea la sua natura di leader. Tutti i brani possono essere apprezzati nella sezione extra del menù, oltre che durante le fasi più concitate ed emotive di gioco.

Spazio anche al doppiaggio, presente in italiano, che però non riesce ad arrivare ai picchi di qualità visti in quello originale. Quelli che in inglese suonano come personaggi vivi e multidimensionali, in italiano purtroppo non rendono allo stesso modo, risultando più piatti e più robotici. Visto che si parla pur sempre di androidi, resta il dubbio che questa sia una scelta voluta, ma che non riteniamo completamente azzeccata avendo sentito la controparte “più umana” della versione originale.

Citare solamente i tre attori protagonisti sarebbe ingiusto nei confronti di un ottimo cast che vede tra gli attori di supporto Clancy Brown e Lance Henriksen, in grado, a tratti, di rubare la scena a Bryan Dechart (Connor) e Jesse Williams (Markus). Una troupe che riesce a mantenersi su livelli altissimi di recitazione dal primo all’ultimo minuto, riuscendo a coinvolgere emotivamente il giocatore anche quando si tratta delle più piccole cose.

Per chi vorrà testare l’audio originale, segnaliamo la presenza di sottotitoli di cui, fortunatamente, può essere decisa la grandezza. L’unico problema riscontrato sia nei sottotitoli che nell’audio italiano, è la traduzione e l’adattamento che, a volte, si discostano dal significato originale, travisando leggermente le parole.

In sintesi:

Quantic Dream si conferma uno specialista delle avventure grafiche anche con Detroit: Become Human. Lasciando da parte killer ed eventi soprannaturali, l’ultima opera di David Cage pone l’accento su temi come la disoccupazione dovuta al miglioramento della tecnologia, l’insoddisfazione della razza umana nel venire rimpiazzata dagli androidi, il risveglio e la consapevolezza della vita artificiale. Tutti argomenti tremendamente attuali (o che presto lo potrebbero diventare).

Impersonando gli androidi Kara, Markus e Connor, il giocatore vivrà il conflitto nei panni “dei più deboli”, e deciderà come plasmare la propria storia, grazie ai tantissimi bivi narrativi in grado di garantire più run completamente diverse tra loro, facendo salire così il tasso di rigiocabilità.

Con un gameplay ridotto all’osso, composto per lo più da Quick Time Event, che lascia più spazio alla narrativa, e un cast stellare supportato da una grafica mozzafiato, Detroit: Become Human riesce nel suo intento di divertire e far riflettere il giocatore sulle conseguenze relative al creare una vita artificiale, tra etica e pragmatismo.

Pregi:

  • I tre protagonisti sono a modo loro interessanti…
  • Disponibile l’audio e i sottotitoli in italiano…
  • Il diagramma permette di rigiocare sezioni di capitoli…
  • Titolo in grado di divertire e far riflettere.
  • La performance recitativa del cast è uno dei punti forti.
  • Altissima rigiocabilità grazie ai tanti bivi narrativi.

Difetti:

  • … ma non tutte e tre le narrative coinvolgono allo stesso modo.
  • … con un adattamento non sempre perfetto.
  • … ma offre pochi checkpoint selezionabili.
  • Telecamera spesso legnosa e in conflitto coi comandi dell’analogico destro.

VALUTAZIONE COMPLESSIVA: 8,5

La recensione di Detroit: Become Human è stata scritta e curata da dryily per GameStorm.it, pubblicata il 26-06-2018

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Detroit: Become Human

  • Immagine della copertina del gioco Detroit: Become Human per PlayStation 4
  • Data di uscita:
    25-05-2018
  • Categoria:
    avventura
  • Disponibilità per:
    PS4
  • Popolarità:
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Valutazione del gioco 9

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