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Recensione di Death Stranding

Titolo: Death Stranding
Genere: Avventura dinamica
Piattaforma: PlayStation 4
Sviluppatore: Kojima Productions
Produttore: Kojima Productions
Data di uscita: 8 novembre 2019

A tutti i viandanti

In principio era la tenebra. “Poi ci fu un’esplosione”. È arrivato il Day One di questo titolo che ha portato con sé tanti scompigli e bagarre, tra leaks, conferenze e speculazioni prima, tra recensioni e divari tra voti e infiniti confronti e discussioni poi. È infine giunto il Day One di Death Stranding e con esso il nostro codice, per cominciare un viaggio, il “nostro” viaggio, vissuto a digiuno di pareri espressi in precedenza, e poter mettere le mani senza contaminazioni su un gioco a cui erano state attribuite già parecchie etichette. Una premessa necessaria per introdurre i lettori alla nostra chiave di lettura, che andrà ad analizzare quello che si configura non tanto come un gioco vero e proprio, quanto a una “esperienza”: definire Death Stranding un videogioco è quasi riduttivo, quanto deviante. Vi raccontiamo la nostra prova dell’ultima opera di HideoKojima, nella quale abbiamo la dimostrazione di quanto non sia importante la destinazione, ma il viaggio. E come ogni viaggio, esso viene esperito in maniera diversa e fortemente personale da chiunque lo percorra. Vi raccontiamo il nostro, pad alla mano e pacchi in spalla.

Dio ha benedetto l’America?

Ci prepariamo a incontrare un mondo ormai devastato proprio dal Death Stranding, un fenomeno distruttivo che ha portato l'apocalisse sulla Terra, tra cui appunto il letterale “spiaggiamento” dei cetacei e ha popolato il globo di creature paranormali provenienti da una dimensione a metà tra la vita e la morte.Sono in pochi ad essere sopravvissuti e, come potete immaginare, possiedono poteri sovrannaturali che consentono loro di restare in vita pressoché all’infinito o quasi. Una sorte toccata anche a Sam Porter Bridges, allora Sam Strand, un uomo che ci viene presentato in medias res, nel bel mezzo dell’azione: stiamo vivendo un passaggio significativo, sia in termini sociopolitici, sia geografici. Gli USA non esistono più, hanno lasciato spazio all’UCA, ossia le Città Unite d’America, quel che resta del mondo (it’s the end of the world as we know it).

Il nostro obiettivo è concettualmente semplice, ma di difficile attuazione: dovremo stabilire una connessione tra queste città, per rinsaldare i legami persi tra le comunità rimaste in vita e ridare una certa forma e stabilità a ciò che rimane della potenza americana: strutture e centri logistici sono i nodi di una rete chirale spezzata, che dobbiamo ricucire man mano. Questo è il nostro obiettivo, ma partiamo all’oscuro degli intrighi politici che sono stati orditi, affacciandoci a un mondo dove riconquistiamo vitalità grazie a una lattina di Monster Energy ed è sopravvissuto uno status system tale per cui alcune dinamiche di Facebook sono strabordate nella vita reale.

In seguito al Death Stranding, anche l’intero ecosistema è stato messo a soqquadro, complice anche la Cronopioggia che deteriora inevitabilmente tutto quello su cui precipita, riducendo vertiginosamente la distanza che separa la vita dalla morte di qualsiasi forma esistente. A tal proposito ci imbatteremo anche negli esseri spiaggiati, o BT (Beached Things), entità paranormali genericamente invisibili, ma non ai nostri occhi. L’incontro non sarà dei migliori ogni volta, ma questo è il prezzo da pagare nel tentativo di ridare luce a un mondo caduto nel buio e macchiato di nero dal dolore e dal disastro.

Non di soli pacchi vive un fattorino, o quasi

Nel momento in cui state leggendo questa recensione, avrete probabilmente già tra le mani il controller e sullo schermo Sam che si prodiga a correre da una parte all’altra del continente, o comunque non vi sarà del tutto ignoto quanto ci attende, quindi saremo piuttosto brevi, per prenderci poi più tempo nella nostra analisi critica. Se guardiamo dunque al gameplay di Death Stranding, le cose si fanno un po’ complicate, perché di fatto le partite sono piuttosto semplici, tecnicamente parlando. Sembra un controsenso, ma quello che dovremo fare è un insieme di azioni non troppo difficili da assemblare: trasportare pacchi nel miglior modo e tempo possibile, senza provocare loro troppi danni, scampare ogni volta il pericolo degli esseri sovrannaturali e imbracciare armi per sconfiggere il male che ci si para di fronte ogni qualvolta usciremo dalla nostra Rest Room. Qui, infatti, potremo ridarci un contegno tra doccia e toilette, per toglierci di dosso le sporcizie del mondo esterno (ma non ripuliremo la nostra mente), così come potremo indossare diverse tute e bere una lattina di Monster Energy, un branded-content che non abbiamo gradito troppo: questa “marchetta” al pari della presenza di una sorta di Facebook e altrettanti richiami a Shazam (a cui accenneremo in seguito), è sì perfetta per product placement e budget da terzi, ma Kojima ne aveva davvero bisogno? Il bello di un’opera d’arte deve venire dalla propria ispirazione senza “inquinamenti” a puro scopo commerciale. Infine, alcuni momenti di difficoltà nella verosimiglianza sono stati riscontrati quando ci siamo messi alla guida di alcuni veicoli come le moto, motori che non sono riusciti a dare il meglio dei propri cavalli e delle proprie prestazioni. Emerge così il nostro malcontento a fronte di un gameplay che non prevede grandissimo sforzo e complessità da un punto di vista tattico e strategico, a differenza di quanto poteva promettere il gioco dalle sue premesse.

Guardando alle missioni secondarie, nemmeno queste ci hanno particolarmente emozionato: sono risultate un po’ troppo paragonabili a “banali” fetch-quests, dove l’ingaggio vero e proprio nell’animo di chi gioca non è stato all’altezza delle nostre aspettative. Sappiamo che le missioni secondarie sono sempre un’arma a doppio taglio, tra il tentativo di deviare dalla missione principale per tirare un po’ il fiato e quello di accumulare oggetti e punti utili ai fini del gioco. Ci auguriamo sempre però che sia coinvolgente e “ben scritta”, occasione talvolta persa in Death Stranding poiché, per quanto dobbiamo porci il “limite” di attendere almeno fino al terzo capitolo prima di imbatterci in queste missioni, quando finalmente potremo dedicarci loro non avremo grandissime soddisfazioni, da un punto di vista della varietà e dello stacco rispetto alla main quest, per come abbiamo vissuto queste fasi dell'opera.

Un profeta in patria con il cuore nel fango e la vita tra le braccia

Cosa abbiamo per le mani quindi? Non un videogioco, troppo riduttivo. Non un film, anche se ne avrebbe tutte le caratteristiche. È l'ennesimo prodotto nell'entertainment che parla di distruzione, ancora una volta. È una storia dal sapore drammatico, nostalgico, la fredda assenza della vita e la solitudine umana raccontate in ore e ore di gameplay e filmati che ci buttano, senza battere ciglio, in una dimensione dove la catarsi tanto anelata sarà difficile da raggiungere.

Come anticipavamo, è davvero “un’esperienza”, che da un lato riprende i tipici temi di un blockbuster hollywoodiano per far presa sul pubblico, dall’altro prende tutta la soda caustica di questo mondo, o meglio del suo possibile futuro, e la getta sui nostri schermi, inglobandoci in una dimensione che sa essere a tratti angosciante, a tratti far emergere la sua sterilità. È una sorta di “fine del mondo” geofisica e morale (ma anche Zuckerberg e la sua creatura sono sopravvissuti, cosa si dice della malerba?) rappresentata nei toni freddi, grigi e sterili di quello che è rimasto. Perché inserire i like quando stiamo cercando di salvare il mondo dalla sua fine? Un tentativo di schiaffo ironico e sordido per sottolineare quanto Facebook riesca a essere coriaceo, o ormai imprescindibile e patologicamente essenziale?

I messaggi che Kojima ci vuole trasmettere sono parecchi, come la simbologia legata a nomi e situazioni nel gioco, a partire dal tono stesso nell’apertura all’avventura. Dopo un incipit dai toni biblici, dove lo scoppio iniziale sembra andare a braccetto con il Big Bang, alcuni tratti riprendono il classico film “americanaccio” con l’eroe di turno alla last man standing di Io Robot che deve salvare un mondo sull’orlo dell’abisso, tra un presidente americano in gonnella (ribaltamento della classica figura stereotipica, un po’ come dire Godis a Woman) e altri giri e raggiri politici, una schiera di esseri sovrumani a metà tra i Dissennatoripotteriani e i Demogorgoni di StrangerThings (non trovate che alcuni loro versi siano davvero identici?), per non parlare di questo viaggio a piedi coast to coast e in solitaria che ci fa pensare a un Kerouack On the road, oltre a un ideale bambino strappato all’utero materno come nei migliori drammi letterari, leggasi Macbeth. Insomma, un pastiche cineletterario che non finisce di stupirci, una serie di commistioni (queste e altre ancora) che meritano davvero di inchinarsi alla capacità di un genio creativo di mettere al mondo un’opera praticamente perfetta, sulla quale mette anche la sua firma con un suo cammeo.

Guardando alla simbologia, è fin troppo chiara e non casuale l’importanza della simbologia legata ai nomi, non solo per scelte come Heartman o Die-hardman (“Duro a morire”?), ma anche la ripetizione del termine Bridge in tutte le salse. Sam stesso cambia il suo nome, dal naturale Bridge, a Strand, poi di nuovo a Bridge, un passaggio che Kojima vuole evitare venga perduto o messo in disparte, grazie alla spiegazione che ci dà la sorellastra Amelie, nientepopodimeno che la nuova Presidentessa delle Città Unite d’America. Oltre a un sentimento americano che non si spegne praticamente mai e non perde nemmeno questa occasione per essere sbandierato nell’entertainment, cinematografico o videoludico che sia, rimane anche il tema del “ponte” rappresentato da un uomo che, se per un certo periodo della sua vita è stato sballottato e “arenato” nel buio dell’esistenza, ha saputo darsi di nuovo un senso e rinascere letteralmente come colui che, profeta in patria, dovrà appunto collegare le città tra loro, ricreando una costellazione immaginaria, le “stelle e strisce” dell’ormai defunta bandiera americana.

Un essere straordinario, ormai impossibile da abbattere, incontra la morte ma sa evitarla, conosce la vita e la porta con sé nel suo BB, non a caso un ennesimo richiamo al Bridge, tra flashback paranormali e tenerezza ancestrale, oltre che riporre i suoi ricordi in una foto sgualcita e calpestata dagli esseri invisibili, gettando il suo “cuore nel fango”. Tutto questo reso da un motore di gioco ineccepibile, fluido all’ennesima potenza e dal comparto tecnico e artistico praticamente perfetto. Spasmodica (e utile ai fini del gioco) l’attenzione riposta in alcune metriche vitali mentre trasportiamo il “peso della vita” e dei fardelli su e giù per il territorio americano, con una risposta all’incedere sul terreno sempre diversa e resa in modo parecchio verosimile. Dunque la risposta fisica agli elementi naturali e alle forze terrene sono davvero umane, azioni come piccoli tasselli di un puzzle costruito man mano mentre siamo accompagnati da una colonna sonora di tutto rispetto e dichiaratamente dietro concessione di copyright, annunciando ogni volta titolo e compositore, uno Shazam naturale e implementato nella vita reale tanto quanto Facebook.

Questa è solo una parte di quanto ci attende in Death Stranding, un’opera ai limiti della perfezione. Limiti però non del tutto valicati. Se è vero che l’impasto con cui viene preparata questa ricetta esplosiva è stato creato in modo originale e unico, è anche vero che gli “appigli” di riferimento sono in gran parte tratti da opere preesistenti, difficili da incanalare sui binari restrittivi del videoludico, stilemi di cui la storia della letteratura e cinematografica non sono scevre, ma rimangono pur sempre impattanti. La storia di Kojima probabilmente avrebbe reso ancora di più il proprio messaggio realizzando direttamente un film, una sequela di episodi come è accaduto in passato per Final Fantasy VII: Advent Children, o al contrario lavorando maggiorente sul coinvolgimento lato gameplay e rendendolo un po’ più stuzzicante. Quest’ultimo infatti rimane davvero un neo in un quadro comunque ottimamente realizzato, ed è proprio per la cura quasi maniacale dedicata e per le tematiche complesse affrontate, che ci saremmo aspettati un quid in più in partita rendendo anche questo unico (ma comunque memorabile). È un'esperienza lenta e difficile da etichettare, una gara di sopravvivenza dove vince non solo chi ha il potere dalla sua, ma anche chi lo sa sfruttare a dovere. E il potere di Kojima era, ed è davvero grande, motivo per cui avrebbe potuto sfruttarlo ancora meglio nelle fasi più “banali” di gameplay.

In sintesi:

“Il videogioco è morto, viva il videogioco”. Questo è in buona sintesi Death Stranding, un prodotto a se stante, feticcio videoludico per cui andiamo a spiegare il motivo del voto che gli attribuiamo, sintetizzandone i tratti principali.

Perchè non merita il massimo dei voti: il gameplay risulta abbastanza ripetitivo e lento, senza il giusto contraltare di side quests troppo fetch-quests. Se la storia è davvero meritevole, viviamo la promessa mancata di una noia talvolta eccessiva in partita, senza nulla togliere al riconoscimento del tempo speso per lavorarci. Per l’appunto, poteva essere speso ancora meglio sul gameplay. Allo stesso modo, abbiamo già espresso il nostro disappunto a tema “marchette”.

Perchè merita comunque un voto alto: la cura maniacale nella grafica e nell’orchestrazione delle scene è evidente, così come il comparto musicale è a dir poco ottimo. Sulle tematiche affrontate e sullo storytelling non stiamo a ripeterci, al di là di qualsiasi valutazione.

Pregi:

  • Tematiche complesse da sviscerare per cui dobbiamo prenderci il giusto tempo.
  • Profondità narrativa stratificata e difficilmente riscontrabile in un videogioco.
  • Comparto grafico ineccepibile, quasi al pari di quello tecnico.
  • Colonna sonora scelta con cura per ogni momento.

Difetti:

  • Tematiche sì complesse, ma spesso tratte dall’immaginario complessivo e non integralmente originali, retorica non convincente.
  • Qualche sbavatura tecnica nel comportamento dei veicoli.
  • Gameplay non del tutto all’altezza della storia concepita, più noioso del dovuto e ripetitivo.
  • Il product placement Monster Energy Drink ha rovinato un po’ la poesia (e anche Facebook).

VALUTAZIONE COMPLESSIVA: 8,5

La recensione di Death Stranding è stata scritta e curata da Blondienerdie per GameStorm.it, pubblicata il 18-11-2019

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