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[Fanfic DkS2] La maledizione del mestolo

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Antefatto

Tanto tempo fa vi era un regno lontano e ormai dimenticato; lo chiameremo Drangleic, poiché era questo il nome riportato nelle leggende a noi più vicine.
Come in ogni storia vi erano dei protagonisti, sorte di avventurieri. Diversi individui avevano poggiato i loro piedi su quelle terre in cerca della loro personale meta, la stessa che il destino aveva riservato loro con insaziabile cura.
La storia qui presente narra di un certo viandante che, forse per scelta o forse per caso, si ritrovò a vagare per questo regno.



I –

Il vuoto risveglio ridestò in lui vecchie sensazioni di dejavu, pur essendo capitato in un luogo ai suoi occhi nuovo.
Giaceva sopra un misterioso cerchio di pietra variopinto da incomprensibili figure e sormontato alle estremità da bianche colonne di marmo. Intorno a lui si estendeva un paesaggio incantevole e sconosciuto che si apriva oltre una scarpata, sfoggiando con onirico splendore una luminosa fenditura che pareva aprire in due il cielo scuro dell'orizzonte.
Immerso in un tale scenario, il viandante si alzò lentamente sui piedi guardandosi intorno scosso. Iniziò così a muovere i primi passi e a prendere una certa, ma vacua coscienza di sé.
Oltre la scarpata, il paesaggio apparve ai suoi occhi più chiaro; una desolata steppa di erba e teschi era il luogo dove aveva messo piede, se non fosse per una moneta senza valore trovata tra i resti di un vecchio cadavere ai margini di uno strapiombo. Si era ritrovato in quel preciso punto per puro caso, sul finire di una fuga per timore di venire accerchiato da un branco di lupi.
Fu solo grazie all'istinto di sopravvivere che trovò il coraggio di tornare indietro nella zona dove brancolavano quelle bestie. Fu nel suo pensiero solo per pura fortuna che riuscì a superare quel luogo e a giungere nei pressi di un'antica e, all'apparenza, ospitale dimora costruita ai piedi di un imponente albero.
Ancora intimorito dai suoi inseguitori, il viandante superò teso la grossa porta di legno dell'abitacolo e si ritrovò al cospetto di quattro anziane signore.
Rosso era il colore delle loro vesti, cinici e rassegnati erano i loro sguardi, scrutatrici i loro occhi sotto i cappucci.
«E’ un non-morto» iniziarono a confabulare tra di loro, afflitte dalla visione dell’ospite. La testa del viandante era vuota di tutti i ricordi e, come un neonato, assorbiva ogni informazione che gli veniva data dalle anziane, confortato dal fuoco del camino in fondo alla stanza.
A loro dire sembrava che il viandante avesse parlato con qualcuno prima di giungere in quel misterioso luogo, qualcuno che loro conoscevano. Ciò nonostante lui non se lo ricordava e saggiamente tacque di ogni commento sui loro profondi discorsi che profetizzavano la sua fine, almeno fino a che non gli venne posta una domanda diretta.
«Come ti chiami?» nella sua testa risuonò soltanto un nome. Non poteva affermare con precisione che appartenesse a lui, ma non poté che fidarsi del suo istinto. «Ramsey» rispose loro, rendendosi conto che quella era la prima volta che apriva bocca dall’inizio della sua avventura.
«Almeno ricordi il tuo nome» sottolineò una di loro, anticipando una serie di scoraggianti avvertimenti da parte delle compagne anziane, sull’atroce destino che avrebbe guidato il cammino del viandante. A loro dire la sua missione sarebbe stata quella di spezzare la maledizione che lo aggravava, come lo era quella di tutti coloro che erano giunti prima di lui. Ciò nonostante doveva saperne di più per esserne certo: gli venne fatto un dono. Si trattava di uno strano artefatto dai rilievi che sembravano modellarsi in base a quanto intensamente il viandante lo fissava; al dire delle vecchie si trattava di un'effige umana in grado di accendere i ricordi celati nel proprio essere interiore.
Il vuoto delle sue forme iniziò ad assumere una propria essenza e così il viandante riuscì a ricordare il suo aspetto e la sua identità. Era un uomo di sostanza, di carnagione chiara e sanguigna, le calvizie sulla nuca e la barba chiara sul mento confermavano l’ormai superata mezz’età, era un uomo buffo e rigido. A suo dire non si riteneva un guerriero o un abile maestro d’armi, forse con un coraggio e una lealtà adeguate sarebbe anche potuto essere un valoroso cavaliere al servizio di un prestigioso regno, ma neanche questa natura faceva parte di lui. Tantomeno non si riteneva così ribelle e spietato da essere un cacciatore o un bandito e non si accostava il titolo di esploratore, poiché il suo vagare era dettato dal puro istinto di sopravvivenza. Non aveva nemmeno la vanità di credere che il suo aspetto vecchio e saggio potesse incutere conoscenze tali da elargirlo a stregone o chierico. Dunque chi era? Non poteva affermarlo con certezza, ma era convinto che non appartenesse a quel mondo, che la sua natura da cui non poteva fuggire fosse dedita ad altro.
Senza uno straccio addosso venne così congedato dalle anziane e, uscendo dall’altra parte dell’abitazione, si ritrovò nei pressi di una lapide. Recuperata una torcia vicino a un carro di legno, accese un falò in mezzo alla boscaglia; avrebbe potuto chiedere ospitalità alle gentili signore in rosso, ma qualcosa in loro lo inquietava assai.
Così riprese il suo viaggio verso l’ignoto.



II –

Mai si sarebbe aspettato di trovarsi in quella via di passaggio, succinta da varchi di nebbia che tanto destavano la sua curiosità, quanto ammonivano la sua avidità.
Sebbene si ritenesse un codardo, una forza lo spinse a varcare il primo banco di nebbia, mischiata al pentimento di averlo fatto.
Era un test.
In fronte a lui si stagliava un sentiero di selva, mentre poco più avanti al di là di una lapide, una figura mantellata lo attendeva sulla metà del percorso. Sembrava un tipo come lui, perciò, forte di questa idea il viandante si avvicinò alla figura.
Si rese conto che non era affatto come lui. L’uomo ammantato lo aggredì prendendolo a cazzotti, tuttavia il viandante accusò i colpi senza risentirne troppo e istintivamente reagì con la stessa moneta. Non provò paura in tutto ciò, bensì pena per l’altro.
Non certo per puro caso riuscì a prevalere sul suo simile, dato che quest’ultimo a differenza sua era molto più esile e privo della ragione.
Una strana sensazione lo rese inquieto quando un groviglio di anime provenienti dalle membra vuote dell’essere sopraggiunsero sul suo corpo di viandante. Aveva appena fatto ciò per cui le anziani signore parevano quasi averlo ammonito: si era cibato delle anime di altri per sopravvivere.
Fu una sensazione orribile e piacevole allo stesso tempo, così, spinto da questo strano sentore proseguì per la selva. Nutriva dentro di sé il bisogno impellente di procurarsi un’arma, poiché a cazzotti non riusciva a esprimere ciò che gli chiedeva il suo naturale istinto.
Senza farsi domande progredì per la foresta mettendo al tappeto diversi suoi simili prima di trovare un pugnale lasciato abbandonato apposta per essere trovato da quelli come lui.
Il viaggio proseguì spedito e il viandante man mano che avanzava parve cambiare sempre più nel suo atteggiamento. Si lasciò innumerevoli vittime dietro di lui, spillando gruzzoli di anime dai loro corpi dissolti in cenere.
Questo fino a che, superando anche l’ultima nebbia, si ritrovò a fronteggiare dei nemici mostruosi che campeggiavano in una piccola spiaggia che dava sul mare. In condizioni normali non li avrebbe mai e poi mai disturbati, ma l’avidità lo stava rodendo dentro.
Il suo corpo si mosse senza rispondere ai comandi e si avviò a fronteggiare i due ciclopi simili a lardosi rinoceronti su due zampe. Fortuna volle che in corpo aveva ancora un lume di ragione tale da comprendere di trovarsi in inferiorità numerica.
Intimorito dalla grossa mole delle due creature fu costretto a indietreggiare, guadagnando un po' di tempo necessario a studiare i suoi nemici. In breve ne capì la loro indole e con essa comprese che per batterli avrebbe dovuto usare l’astuzia. Uno di loro sembrava particolarmente stupido e così si ingegnò per metterlo in trappola. Lo fece salire fino alla formazione rocciosa che dava sulla spiaggia, portandolo fino ai margini di un tronco che faceva da ponte tra quella stessa formazione e la via principale di passaggio. Attese così che il mostro lo attaccasse atterrandogli addosso come gli aveva visto fare in precedenza; se era davvero poco intelligente come pensava, il ciclope lo avrebbe attaccato senza badare a un punto così pericoloso. Ciò in effetti avvenne e il rinoceronte-foca perse l’equilibrio cadendo nel baratro al di sotto del tronco.
Fu la volta del suo compagno, il quale nel frattempo aveva rinunciato all’inseguimento tornandosene al centro della spiaggia. Con lui non sembrava funzionare lo stesso stratagemma; era un tipo decisamente meno ostinato dell’altro e questo lo rendeva più ostico, poiché il viandante avrebbe dovuto combatterlo per ottenere le sue anime.
Lo scontro durò diverso tempo e il viandante, non sapendo combattere bene, rimase quasi in fin di vita sebbene l’altro fosse piuttosto lento a colpire. Alla fine uccise anche lui grazie all’uso del pugnale che permetteva degli affondi che procuravano sanguinamenti sulla carne del nemico, rallentando ancor più i suoi movimenti e facilitando le schivate.
Era così stanco e ferito che non si curò nemmeno della bara che aveva scorto poc'anzi sulla riva del mare e che forse quei mostri stavano sorvegliando, preferendo tornare indietro fino alla dimora delle anziane.
C’era qualcosa che voleva sapere da loro. Il suo cuore chiedeva anime, ma la sua mente chiedeva risposte.
Ciò nonostante al ritorno non riuscì a comunicare con le vecchie, se non tramite alcuni sguardi che lasciavano spazio a molte interpretazioni. Questo fino a che decise di rivolgersi all’unica delle quattro che, oltre ad avere un abbigliamento diverso, sembrava anche essere più loquace delle altre. Si chiamava Milibeth e a suo dire si trovava lì per prendersi cura delle guardiane del fuoco, come la sua famiglia faceva da generazioni. Rivelò inoltre la natura di quel posto, che catalogò in un limbo che separava due diversi luoghi. Quando il viandante le accennò di quei ciclopi sulla spiaggia e di quanto avesse penato per abbatterli, la donna riconobbe il suo valore premiandolo con un oggetto.
Si trattava di un mestolo da cuoca che il viandante, sgranando gli occhi, riconobbe come suo. Era come se gli appartenesse da sempre. Sebbene forse quella donna avesse solo uno strano senso dell’umorismo, c’era qualcosa in quel premio che lo aveva smosso dentro.
Senza tuttavia dare particolare peso al fatto, il viandante si avviò verso l'uscita posteriore dell'abitazione osservando una delle silenziose guardiane tessere il proprio filo accanto al camino.
Una volta tornato all'esterno si accampò nella foresta e si accese un altro falò per riprendere le forze e meditare su quanto accaduto.


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Yesolo

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Yesolo
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Il mestolo :roftl:
Sono davvero curioso di vedere come proseguirà :violin:
Oh beh, se gioco sempre a THEGAME che potete farci? :trollface:
Potevano giocarci anche i tuoi genitori quel fatidico giorno, e invece han pensato bene di concepirti.
spumante

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